COMPAGNIA

STN - Studionovecento

Il Circo dei Morti presenta: fantastica ed autentica storia del famoso Maestro e della sua amante Margherita

“‘I morti sono la verità dei vivi‘  (Thaddeus Kantor)
E’ appunto questo il sottotesto dello spettacolo messo in scena da Marco M. Pernich nella sala-prove del suo STN-STUDIO NOVECENTO in via Menabrea 27, a Milano. L’Autore e regista racconta di aver preso solo spunto dal celeberrimo libro di M. Bulgakov “ll Maestro e Margherita” in quanto gli ha permesso di proporre allo spettatore “ una riflessione sulle dimensioni invisibili della realtà”. Un’impresa ardua se consideriamo il mezzo teatrale. Eppure la sua ottima riuscita è fuori di dubbio. Infatti vediamo che, attraverso una sorta di ‘rito iniziatico’, lo spettatore viene introdotto in uno spazio altro, uno spazio illimitato e pure reale in cui ad accoglierlo c’è un ospite d’eccezione: il Diavolo in persona, ma non il Diavolo di Bulgakov a cui nessuno crede più, ma un Diavolo ben più inquietante e potente, quello che domina il caos, la morte, le fake news e il cyber-spazio… Come sconfiggerlo o quanto meno affrontarlo? Guardando dal punto di vista dei ‘morti’, ci suggerisce Marco M. Pernich. Da lì il nostro Diavolo moderno, Woland, un’efficacissima Francesca Contini, ci appare nella sua vera veste, ossia come “Parte di quella forza che eternamente vuole il male e eternamente opera per il bene” , ovvero quella Potenza che consente a noi vivi o almeno a chi di noi se la sente, di cambiare prospettiva e, forse, ‘operare’ o almeno tendere al Bene. E dunque in scena vediamo il Diavolo Woland che, con aria prevalentemente annoiata, ha radunato i suoi accoliti Korov’ev e Behemot più Margherita, il Maestro, Ivan Bezdomny e Ponzio Pilato e li ha trasformati in saltimbanchi a volte tragici, a volte pensosi e a volte giocosi che si ‘trastullano’ a modo loro con altri personaggi della storia del libro, fra cui Cristo, e raccontano le vicende dell’ultima volta in cui il terribile Woland ha agito sulla Terra e cioè nella Mosca del 1930 .
Grazie ad un cast di attori e collaboratori estremamente efficace e coeso e ad un ritmo sostenuto, lo spettacolo cattura lo spettatore fin dalle prime scene, ovvero dal suo primo accesso alla predetta ‘dimensione invisibile’.”
Ombretta De Biase

L’intero Progetto va sotto il nome di Voland-19 perché il COVID è stato il nostro Voland! È costruito su due assi: un percorso di formazione teatrale a 360 gradi -attore drammaturgia scenografia etc.- coi giovani; e la creazione di uno spettacolo con la Compagnia. Lavorando -dal 2019/2020- i due percorsi sono diventati vieppiù divergenti. Coi ragazzi abbiamo messo in scena il romanzo. Con la Compagnia attraverso un lunghissimo lavoro di ricerca tra improvvisazioni riscritture in scena e sperimentazioni abbiamo costruito una ‘parafrasi’ o quella che in musica si chiama ‘parodia’ (cioè ‘riscrittura’) del romanzo in cui in sostanza abbiamo dato la possibilità ai Personaggi di dire ciò che nel romanzo non hanno potuto dire. Anche la messa in scena ha preso due strade diverse e con la Compagnia si è imposto il tema del Circo dei Morti: ‘i morti sono la verità dei vivi’ (T.Kantor).
Oggi noi non crediamo più al Diavolo. Quindi se comparisse a Milano come a Mosca nel 1930 non otterrebbe lo stesso effetto. Ma il Diavolo ha un compito -eterno-: “sono parte di quella forza che eternamente vuole il male e eternamente opera per il bene” (Goethe -citato anche da Bulgakov in epigrafe del romanzo). Quindi deve continuare fino alla fine dei tempi la sua missione: portare il caos la morte le fake news come strumento di trasformazione e per chi ha un’evoluzione interiore sufficiente o comunque è un essere umano ‘in cerca’ essere occasione di trasformazione e addirittura di salvezza. Ma se nessuno crede più che fare? Woland allora ha radunato i suoi accoliti Korovev e Behemot più Margherita il Maestro, Ivan Bezdomnij e Ponzio Pilato trasformati in saltimbanchi (J.Starobinskij: il Saltimbanco come Guida dell’Oltre) e con loro va in giro a raccontare la storia dell’ultima volta in cui hanno agito sulla Terra: Mosca 1930. Non uno spettacolo quindi ma un rito iniziatico cui lo spettatore è ammesso ad assistere attraversando un portale e che per chi sarà pronto si trasformerà in occasione di ricerca interiore e trasformazione (in greco ‘metanoia’).
Lo spettacolo cita il romanzo ma non è una messa in scena dello stesso. È una riflessione su di esso e ci offre una possibilità di riflessione su noi stessi e sulle dimensioni invisibili della realtà che anche se noi non ci crediamo più esistono e sono efficaci anche nel nostro piano di realtà. Insomma se fossimo coraggiosi diremmo che lo spettacolo pone la domanda sul ‘senso della vita’ e quindi sulla struttura intera dell’Universo.
Un lavoro lontano dal teatro-teatrale e dal teatro come intrattenimento o come ricerca intellettualistica che mette in questione i pilastri stessi della Realtà e delle sue molteplici dimensioni. Uno spettacolo lontano anni luce del ‘teatro che si fa’ -anzi uno spettacolo che mette radicalmente in questione il Teatro-che-si-fa e che viene distribuito nei Grandi Teatri o nei Circuiti che un tempo si chiamavano Alternativi e che oggi ci appaiono -sia gli uni che gli altri- senz’anima. Uno spettacolo sul Senso. Anche sul Senso del Fare Teatro in un tempo in cui il Teatro è stato espulso dalla Cultura diffusa e museificato. E sul Senso della Vita -appunto.
Dal punto di vista drammaturgico abbiamo operato per tappe successive: dopo una lunga ricerca sui materiali testuali prodotti da alcuni drammaturghi abbiamo fatto una lunga serie di impro. Da tutti questi materiali abbiamo creato un primo testo -sterminato- sul quale abbiamo lavorato per approssimazioni successive e per vederlo alla prova della scena. Così siamo arrivati a giugno 2021. A settembre 2021 ho presentato un testo molto ridotto che si è allontanato dalla struttura narrativa del romanzo che nel testo precedente era ancora conservata. Il testo era sensibilmente più breve ma ancora lungo. Abbiamo lavorato quindi alla messa in scena con un’ipotesi di scena e di schema di drammaturgia visiva. A gennaio 2022 ho presentato un testo ulteriormente riscritto e sensibilmente più breve che ha portato a una ridefinizione totale della pianta della scena e dell’immagine complessiva.

Genesi

un'ermeneutica teatrale dei capitoli 1,11 del Libro della Genesi

 

Perché avventurarsi oggi tempo di pensiero debole di materialismi di economia rampante di miti del pratico e dell’immediato di ricerca di soddisfazione immediata del desiderio a esplorare l’inizio di uno dei testi fondativi dell’Umanità e a porre di nuovo le eterne domande senza risposta che per tanto tempo nella cosiddetta modernità è stato detto inutile porsi? 


O più semplicemente perché con tutti i problemi che ci sono alzare di nuovo gli occhi al cielo e chiedere i perché assoluti?


Forse proprio perché viviamo il tempo sciagurato e difficile che viviamo.


[ Marco M. Pernich ]

 

Genesi è uno spettacolo coraggioso.
Il più coraggioso di tutti.

Genesi è uno spettacolo spudorato.
Il più spudorato di tutti.

Genesi è lo spettacolo più coraggioso perché è lo spettacolo che non ha paura di risalire all’inizio, tagliare corto con tutte le mezze risposte e porre le domande fondamentali. Genesi è lo spettacolo più spudorato perché non si vergogna di parlare di Dio, di Uomo e di Sacro in un mondo materialista e bigotto.

Attraverso la voce di cinque personaggi, incarnati da un’unica attrice, prendono corpo i fantasmi dell’inizio: il male, il bene e l’essere umano buttato in un mondo meravigliosamente vasto. Il primo angelo, l’Antagonista, Caino e la moglie di Noah, hanno i nostri volti e sono senza volto come i nostri sentimenti inconsci. Danzano e parlano, ma la loro voce è come un canto, mentre la musica de l’ Histoire du soldat di Stravinsky accompagna tutto lo spettacolo.

Un testo difficile per uno spettacolo difficile. Ma un testo necessario. Come se tacere queste storie mormorate fin dall’inizio dei tempi, equivalesse a venir meno a un compito antichissimo.

Genesi

Perché avventurarsi oggi tempo di pensiero debole di materialismi di economia rampante di miti del pratico e dell’immediato di ricerca di soddisfazione immediata del desiderio a esplorare l’inizio di uno dei testi fondativi dell’Umanità e a porre di nuovo le eterne domande senza risposta che per tanto tempo nella cosiddetta modernità è stato detto inutile porsi? 
O più semplicemente perché con tutti i problemi che ci sono alzare di nuovo gli occhi al cielo e chiedere i perché assoluti?


Forse proprio perché viviamo il tempo sciagurato e difficile che viviamo.


[ Marco M. Pernich ]

 

Genesi è uno spettacolo coraggioso.
Il più coraggioso di tutti.

Genesi è uno spettacolo spudorato.
Il più spudorato di tutti.

Genesi è lo spettacolo più coraggioso perché è lo spettacolo che non ha paura di risalire all’inizio, tagliare corto con tutte le mezze risposte e porre le domande fondamentali. Genesi è lo spettacolo più spudorato perché non si vergogna di parlare di Dio, di Uomo e di Sacro in un mondo materialista e bigotto.

Attraverso la voce di cinque personaggi, incarnati da un’unica attrice, prendono corpo i fantasmi dell’inizio: il male, il bene e l’essere umano buttato in un mondo meravigliosamente vasto. Il primo angelo, l’Antagonista, Caino e la moglie di Noah, hanno i nostri volti e sono senza volto come i nostri sentimenti inconsci. Danzano e parlano, ma la loro voce è come un canto, mentre la musica de l’ Histoire du soldat di Stravinsky accompagna tutto lo spettacolo.

Un testo difficile per uno spettacolo difficile. Ma un testo necessario. Come se tacere queste storie mormorate fin dall’inizio dei tempi, equivalesse a venir meno a un compito antichissimo.

Gli Scavalcamontagne

 

Una piazza: signori col cappello e baffoni, donne col ventaglio e gonne lunghe e bimbi che mangiano lo zucchero filato. Tutti sono riuniti intorno a un palco, e sopra il palco c’è una donna, ben vestita. A un certo punto si tocca la fronte, tutti trattengono il respiro e poi sviene sopraffatta dall’emozione.

Quella donna è un’attrice, quelli intorno sono gli abitanti del paese e quella piazza, con la gente, l’attrice e la festa tutt’intorno, sono la storia d’Italia.

Scavalcamontagne è il nome che si dava a queste antiche compagnie di giro, che su vetture di terza classe superavano i valichi della penisola in cerca di un palco su cui recitare. Assistere a Gli Scavalcamontagne vuol dire rivivere tutta, ma proprio tutta la storia del nostro paese.

Gli Scavalcamontagne sono una compagnia che ha vissuto tutte le guerre, le contestazioni e le sconfitte, ha sofferto la fame e ha goduto il vino, si è amata, si è ammazzata e si è perdonata… sono una compagnia che alla fine ha capito che la storia d’Italia è quella di fratelli che non si son riconosciuti, ma che non si sono mai arresi all’odio e all’intolleranza. Proseguendo fino al prossimo palco, la prossima piazza e la prossima festa.

Gli Scavalcamontagne è un grande spettacolo popolare, dove si canta e si balla, si beve e si mangia; una piazza in cui tutti, attori e pubblico, stanno insieme e costruiscono il futuro

Gli Scavalcamontagne

Una piazza: signori col cappello e baffoni, donne col ventaglio e gonne lunghe e bimbi che mangiano lo zucchero filato. Tutti sono riuniti intorno a un palco, e sopra il palco c’è una donna, ben vestita. A un certo punto si tocca la fronte, tutti trattengono il respiro e poi sviene sopraffatta dall’emozione.

Quella donna è un’attrice, quelli intorno sono gli abitanti del paese e quella piazza, con la gente, l’attrice e la festa tutt’intorno, sono la storia d’Italia.

Scavalcamontagne è il nome che si dava a queste antiche compagnie di giro, che su vetture di terza classe superavano i valichi della penisola in cerca di un palco su cui recitare. Assistere a Gli Scavalcamontagne vuol dire rivivere tutta, ma proprio tutta la storia del nostro paese.

Gli Scavalcamontagne sono una compagnia che ha vissuto tutte le guerre, le contestazioni e le sconfitte, ha sofferto la fame e ha goduto il vino, si è amata, si è ammazzata e si è perdonata… sono una compagnia che alla fine ha capito che la storia d’Italia è quella di fratelli che non si son riconosciuti, ma che non si sono mai arresi all’odio e all’intolleranza. Proseguendo fino al prossimo palco, la prossima piazza e la prossima festa.

Gli Scavalcamontagne è un grande spettacolo popolare, dove si canta e si balla, si beve e si mangia; una piazza in cui tutti, attori e pubblico, stanno insieme e costruiscono il futuro

Lo sguardo di Polifemo

Due personaggi che si rifanno alla mitologia, Polifemo e Sirena, sono immersi nella contemporaneità, il canto ammaliatore dell’una e lo sguardo senza profondità dell’altro assumono nuovi significati nella realtà di oggi. Lui non vede, lei non parla più, i loro limiti nel comunicare sembrano superati grazie agli ausili tecnologici, ma non tutto trova una risposta nella tecnologia e la nostra riflessione si sposta verso il gesto, lo sguardo, la voce e la relazione, la loro presenza o mancanza. Questi elementi costitutivi del fare teatro vanno a comporre una drammaturgia d’attore che entra a far parte, come in un tessuto, della drammaturgia dello spettacolo muovendosi tra registri e strategie diverse. Vengono accolti nell’azione elementi e modalità derivate dalla realtà da rappresentare. Saranno l’umanità, la storia personale, la memoria e il dialogo a prendere la scena.

Lo sguardo di Polifemo

Due personaggi che si rifanno alla mitologia, Polifemo e Sirena, sono immersi nella contemporaneità, il canto ammaliatore dell’una e lo sguardo senza profondità dell’altro assumono nuovi significati nella realtà di oggi. Lui non vede, lei non parla più, i loro limiti nel comunicare sembrano superati grazie agli ausili tecnologici, ma non tutto trova una risposta nella tecnologia e la nostra riflessione si sposta verso il gesto, lo sguardo, la voce e la relazione, la loro presenza o mancanza. Questi elementi costitutivi del fare teatro vanno a comporre una drammaturgia d’attore che entra a far parte, come in un tessuto, della drammaturgia dello spettacolo muovendosi tra registri e strategie diverse. Vengono accolti nell’azione elementi e modalità derivate dalla realtà da rappresentare. Saranno l’umanità, la storia personale, la memoria e il dialogo a prendere la scena.

COMPAGNIA GIOVANI

La Lupa

Non c’è rimedio, non c’è speranza, non c’è salvezza. Non si sono nemmeno gli dei (tranne forse il sesso).”

 

Non c’è niente da capire.
Non si può capire.
C’è solo il racconto.
Il racconto raccontato e ripetuto.
Raccontato e ripetuto
perché si racconta per capire.”

La novella di Verga è misteriosa nella sua apparente semplicità. Richiama un mondo arcaico sopravvissuto sotto la superficie della cultura che si è stratificata nei secoli. Lo spettacolo ripropone la novella nella forma di una tragedia antica e cerca di farne emergere gli archetipi che sotto forme diverse continuano ad agire anche nelle nostre vite.
Un omaggio a Giovanni Verga nel centenario della morte.

Testo e regia di Marco M. Pernich

con Ailin Tracchia, Allegra D’Imporzano, Andrea Bonzi, Andrea Pella, Angelica Topolino, Bianca Cerro, Bianca del Basso, Giacomo Piseri, Lorenzo Fonti e Valentina Sangalli

Italia

Ballata per animi inquieti

Un figlio torna dalla madre dopo una lunga assenza i cui motivi vengono via via svelati. La madre, rimasta vedova, pare non lo riconosca.
L’immaginario di lei si muove, come in un ballo, tra dimenticanze e ricordi di momenti del passato, più o meno lontani, a volte gioiosi, non sempre facili.
La comprensione tra i due fatica a farsi strada tra i ricordi, il non detto e gli equivoci. Tra di loro sembra essersi generata una frattura che gli impedisce di comunicare. E’ la frattura tra due mondi, quello della cultura contadina a cui entrambi appartenevano e quello senza scrupoli degli affari e del guadagno facile e veloce, che non guarda in faccia a nessuno. Lei pare non dare spazio al dialogo, ma il figlio ha qualcosa da dirle…
I ricordi e il passato prendono corpo attraverso due personaggi che fanno da specchio a
madre e figlio nel presente.

Testo e regia di Paolo Bignami
Con Cristina Vaciago, Valentina Sangalli, Andrea Pella, Giacomo Piseri

ARCHIVIO

Spettacoli passati che vogliamo ricordare...

Storia del Piccione W.A.

E della notte che rimase chiuso nel museo

 

C ‘era una volta un piccione, W.A., che amava infilarsi dalle porte o dalle finestre aperte nel Museo di Arte Moderna di New York. Si divertiva a volare per le stanze facendo impazzire i custodi che lo inseguivano per tutte le sale e i corridoi terrorizzati all’idea che potesse imbrattare qualche opera! Ma come potevano pensarlo! Lui non si sarebbe mai permesso! Era un piccione educato, lui! Ma una notte, forse per distrazione forse per malvagità dei custodi, il piccione W.A. rimase chiuso nel museo…

Qui inizia il viaggio del piccione W.A., alla scoperta dell’arte contemporanea e in particolare delle opere di Andy Warhol. Un’insolita amica, una gentile lattina di zuppa Campbell’s, prima lo consola e poi gli racconta la storia di un ragazzo speciale con un talento magico. Gli presenta le sue opere e di ciascuna racconta qualcosa e qualcuna prende anche vita come… Marylin!
La Signorina Campbell racconta anche episodi della vita di ‘Andy’ – come lo chiama lei – e alla fine aiuta il Piccione a sfuggire ai custodi e a involarsi per i cieli grigi di New York.

Storia del Piccione W.A.

C ‘era una volta un piccione, W.A., che amava infilarsi dalle porte o dalle finestre aperte nel Museo di Arte Moderna di New York. Si divertiva a volare per le stanze facendo impazzire i custodi che lo inseguivano per tutte le sale e i corridoi terrorizzati all’idea che potesse imbrattare qualche opera! Ma come potevano pensarlo! Lui non si sarebbe mai permesso! Era un piccione educato, lui! Ma una notte, forse per distrazione forse per malvagità dei custodi, il piccione W.A. rimase chiuso nel museo…

Qui inizia il viaggio del piccione W.A., alla scoperta dell’arte contemporanea e in particolare delle opere di Andy Warhol. Un’insolita amica, una gentile lattina di zuppa Campbell’s, prima lo consola e poi gli racconta la storia di un ragazzo speciale con un talento magico. Gli presenta le sue opere e di ciascuna racconta qualcosa e qualcuna prende anche vita come… Marylin!
La Signorina Campbell racconta anche episodi della vita di ‘Andy’ – come lo chiama lei – e alla fine aiuta il Piccione a sfuggire ai custodi e a involarsi per i cieli grigi di New York.

Il Teatro di Carta presenta: Il Maestro e Margherita

In occasione del Plenilunio di Primavera di un anno degli anni ‘30 del Novecento il Diavolo compare nella Mosca sovietica e atea da poco uscita dalla rivoluzione. Porta lo scompiglio il caos la morte. Porta anche una sarabanda di avvenimenti surreali e comici misteriosi e drammatici finché una donna Margherita non viene invitata al Ballo del Plenilunio di Primavera. Margherita scontenta moglie di un alto funzionario accetta perché spera di ritrovare così il suo amante il Maestro scomparso da molti mesi dopo che il suo Romanzo su Pilato è stato rifiutato dalla censura bigotta del Massolit -Unione degli Scrittori Proletari. Il Maestro si è rifugiato in manicomio come uno starets moderno che invece che in un monastero si ritira in un altro luogo separato dal mondo. Qui incontra l’ex-Poeta Ivan Bezdomny (= senza casa) anche lui censurato dal Massolit ma soprattutto rinchiuso in manicomio perché sostiene di aver visto il Diavolo. Ma Ivan dice la verità. Ivan diviene così discepolo del Maestro e testimone della storia. E a posteriori ce la racconta. Perché la storia porta con sé un senso misterioso e sfuggente racchiuso nella frase di Goethe “Io sono parte di quella forza che eternamente vuole il male e eternamente opera per il bene”.

Lo spettacolo è la messa in scena del romanzo -o meglio dei tre romanzi che sono nel romanzo: il Romanzo del Diavolo a Mosca; il Romanzo di Margherita; il Romanzo di Pilato. Il Maestro eroe eponimo del libro è il catalizzatore ma non il protagonista di ciò che si racconta -ennesimo mistero di questo libro insondabile. È una messa in scena dichiaratamente ingenua la cui cifra è la carta: come se le pagine del libro diventassero scenografie e il racconto fosse un fumetto o una graphic novel.

Lo spettacolo fa parte del progetto Voland-19 che in tre anni di lavoro ci ha condotto a esplorare il romanzo in tutte le direzioni. Il risultato sono due spettacoli: questo -percorso di formazione teatrale e umana oltre che di produzione di spettacolo- fatto con gli allievi di STN-Studionovecento; un altro con la Compagnia -e completamente diverso.

con Ailin Allegra Andrea B. Andrea P. Bianca C. Bianca dB. Cristina Daniele Domenico Elena Elisa Giacomo Isabel Leonardo Lorenzo 

Testi di M.A. Bulgakov, P. Bignami, A. Villa, F. Contini, R.Rossi, M.M.Pernich
Messa in Scena: marco m. pernich
Scene: Bianca Cerro e il Laboratorio di Scenografia di STN
Costumi: Cristina Vaciago e la Sartoria di STN

Dio ha bisogno degli uomini

Un’isola al largo delle coste della Bretagna un po’ a sud del canale della Manica. Tutto intorno l’Oceano.
Un’isola di capre, sassi, gabbiani, scogli e orti stenti. Non ci sono guardie, non c’è un medico, non c’è nemmeno un sindaco.

Un’isola di pescatori.
Un’isola di pirati.
Perché la pesca da sola non basta a sfamare i pochi uomini che ancora vivono sull’isola.
Un’isola dimenticata da Dio o, per lo meno, dalla Chiesa.
Ma quando il curato esasperato decide di andarsene, uomini che non hanno mai creduto in niente si ritrovano di colpo a scoprire una nuova spiritualità e la necessità di un Dio che fino a quel momento era stato solo un peso.

Dio ha bisogno degli uomini

Un’isola al largo delle coste della Bretagna un po’ a sud del canale della Manica. Tutto intorno l’Oceano.
Un’isola di capre, sassi, gabbiani, scogli e orti stenti. Non ci sono guardie, non c’è un medico, non c’è nemmeno un sindaco.

Un’isola di pescatori.
Un’isola di pirati.
Perché la pesca da sola non basta a sfamare i pochi uomini che ancora vivono sull’isola.
Un’isola dimenticata da Dio o, per lo meno, dalla Chiesa.
Ma quando il curato esasperato decide di andarsene, uomini che non hanno mai creduto in niente si ritrovano di colpo a scoprire una nuova spiritualità e la necessità di un Dio che fino a quel momento era stato solo un peso.

Il Circo dei Morti presenta: i fantasmi di Amleto

Lo spettacolo parla del fallimento del teatro (usiamo Amleto perché è la più teatrale delle opere teatrali) lo demitizza e lo demistifica. La Supermarionetta è impossibile; le Ombre (i Morti portatori di verità) possiamo solo evocarli e sperare che qualche volta qualcosa succeda e poi cercare di interpretare le tracce che ci lasciano ­o gli indizi. Fallisce anche la rappresentazione ­cioè l’identificazione col Personaggio (l’Ombra) la ricostruzione della ‘vita in diretta’ (sebbene stilizzata) di Stanislavskij. Resta il teatro di Narrazione ­forse anche nella versione epica di Brecht, in quella giullaresca di Fo e in quella collettiva di Vacis (e di un certo Baliani). Cioè non possiamo più interpretare i Personaggi: possiamo solo raccontarli.
Ma lo spettacolo parla anche della rivendicazione dell’umanità dell’attore della sua fallibilità della sua imprecisione del suo mutare sera dopo sera. E quindi della sua bellezza e della sua grandezza che è fatta del sublime ­che a volte si rivela in uno spettacolo­ e dell’andare a mangiare la pizza parlare della Juve o del Milan di sesso, politica, affetti, malattie. (È ancora Sofocle: ‘molte sono le cose meravigliose sulla terra nessuna più meravigliosa dell’uomo’). Il Teatro è fatto dagli attori cioè da esseri umani coi loro narcisismi e le loro paure, il loro pressapochismo e la loro generosità. E per questo è così grande. Per questo è Arte ­nella sua incompiutezza e precarietà nel suo essere effimero e impreciso.
Quindi lo spettacolo parla sì del fallimento del Teatro ma in questo fallimento parla della sua bellezza e della sua grandezza. (L’alto e il basso vicini; il divino e il volgare; lo scudo d’Apollo e il cingolo del carrarmato. Come insegna l’arte greca) Lo spettacolo non inizia e non finisce e ­come scriveva a suo tempo Lygeti a proposito della musica­ è come una finestra che si apre e mostra una parte di qualcosa di più ampio (come dalla finestra si vede solo una parte del paesaggio).
È anche uno spettacolo che assume l’aleatorietà della vita. La sequenza delle 12 sequenze che lo costituiscono è decisa ogni sera da un personaggio e quindi può sera dopo sera variare.
È anche uno spettacolo jazz. Sulla base di una struttura data gli attori ­anzi le Sueprmarionette e gli altri Personaggi improvviseranno alcune parti utilizzando un repertorio di testi che quindi non verranno detti tutti ogni sera o nella stessa sera. Infine è uno spettacolo per quaranta spettatori che in una situazione intima e un po’ scabrosa spiano le vicende del racconto ma anche le vicende che circondano il racconto.
Infine. Facendo anche di necessità virtù abbiamo voluto provare a sottrarre lo spettacolo all’idea di prodotto e quindi di consumo. L’Arte è anche un prodotto ­e dopo la perdita dell’aura molto di più. Ma forse possiamo provare a ripensare una vita in cui non tutto è prodotto. È un gesto rivoluzionario? Ci piacerebbe che lo fosse. Non lo sappiamo. Sappiamo però che noi facciamo un dono. E proponiamo a chi viene a vedere il lavoro di portare il suo dono ­qualunque esso sia ma meglio se un manoscritto o un manufatto. Uno scambio in cui non conta il prezzo ­il valore di scambio­ ma il dono che restituisce ai rapporti umani una dimensione di gratuità.

Leggi la recensione del Corriere dello Spettacolo!
Il Circo dei Morti presenta: i fantasmi di Amleto. Una produzione di Studio Novecento

Uno degli autori teatrali maggiormente portati in scena è indubbiamente William Shakespeare, sempre capace di suscitare un grande interesse nel pubblico. Proprio per il vasto numero di rappresentazioni che vengono fatte delle opere di questo autore
si è via via resa sempre più necessaria una rielaborazione del testo shakespeariano e, talvolta, un riadattamento utile ai fini dell’attualizzazione dei drammi. In questa direzione si è mossa la scuola teatrale di Studio Novecento portando in scena lo spettacolo “Il Circo dei Morti presenta: i fantasmi di Amleto”. La messa in scena dello spettacolo è assolutamente particolare e fuori dall’ordinario. Non si tratta infatti di una semplice rappresentazione del testo di Amleto ma di un vero e proprio studio sulla tragedia e non solo: il testo shakespeariano viene infatti utilizzato come strumento per approfondire la tematica del fallimento del teatro. L’utilizzo del testo di Amleto avviene poiché riconosciuto come la più “teatrale” delle opere teatrali e perciò massimamente adatto allo scopo ultimo dello spettacolo.
Lo spettacolo si sviluppa su diversi piani che si intersecano e sembrano dialogare tra loro: al primo livello si trovano gli attori reali che interpretano gli stessi interpreti all’interno del dramma. A loro volta questi recitano scene dell’Amleto ricoprendo i ruoli dei personaggi del dramma. Esternamente alle scene shakespeariane, che rappresentano l’ultimo piano di finzione, si colloca una cornice metateatrale che spinge lo spettatore alla riflessione. Un attore – il regista – siede tra il pubblico e dialoga con la sua compagnia, chiamando tra un intermezzo e l’altro le diverse scene, in un ordine che cambia di sera in sera, sconosciuto per gli attori stessi, che non segue la trama originaria: può infatti capitare di vedere Ofelia morire prima che Amleto scelga di interrompere la loro storia d’amore.
Lo spettacolo non ha né un inizio né una fine, è come una finestra che si apre e mostra una parte di qualcosa di più ampio. Uno squarcio sulla scena reso particolarmente intimo e inquietante dalla presenza di un pubblico poco numeroso. La rappresentazione è infatti pensata per essere svolta in uno spazio ristretto e con un numero molto limitato di spettatori, appena 40. Questo rompe in qualche modo la quarta parete, quel muro immaginario posto davanti al palco di un teatro attraverso il quale il pubblico osserva la messa in scena che si volge all’interno del mondo teatrale. Ci sono alcuni elementi che contribuiscono alla compenetrazione di due mondi generalmente separati, quello della rappresentazione scenica e quello invece dello spettatore.
Innanzitutto il pubblico entra all’interno della sala in cui si svolge lo spettacolo – la scuola di teatro Studio Novecento – a spettacolo già iniziato. Gli attori sono in scena, alcuni girano per la stanza, come capita per l’usciere e la donna delle pulizie, questi interagiscono con il pubblico, lo accolgono e creano situazioni spontanee, di pura improvvisazione. La recitazione vera e propria ha inizio quando tutti gli spettatori hanno preso posto, un posto estremamente vicino alla scena, contiguo. E non ha una fine. Il pubblico infatti viene spinto ad uscire mentre gli attori sono ancora in scena, sbirciando dalle finestrelle dal cortile verso l’interno, nella penombra si vede lo spettacolo andare avanti, anche senza pubblico.
Le 12 sequenze che costituiscono lo spettacolo, poste in ordine casuale e continuamente in evoluzione, sono le classiche scene dell’Amleto, anche se sono rese particolari da alcuni dettagli. Per esempio Amleto è portato in scena da un’attrice, non da un attore, che recita per gran parte dello spettacolo a busto scoperto. Questo rende difficile per lo spettatore dimenticare che l’uomo è in realtà una donna. E invece no, arrivati a un certo punto della rappresentazione questo sembra passare in secondo piano. L’uso magistrale del nudo artistico che viene fatto all’interno dell’intera rappresentazione crea un effetto fortemente drammatico, che porta il pathos di alcune scene a livelli estremi, come capita per esempio nella scena del suicidio di Ofelia, resa fortemente struggente non solo per esigenze circostanziali, dato che si tratta di un suicidio, ma dalla carica espressiva trasmessa da una corporeità preponderante e violenta.
L’uso del corpo, portato in scena e rivestito di una nuova e spiazzante umanità, è unito alla presenza di testi eterogenei, che integrati al dramma di Amleto risultano coesi e riescono ad amplificare il messaggio dell’intero spettacolo. All’interno delle scene, inframezzati ai versi shakespeariani si trovano stralci di altri testi su Amleto, come per esempio l’”Hamletmaschine” di Heiner Muller. Le battute invece degli intermezzi, recitate dal regista, dall’usciere e dalla donna delle pulizie, sono monologhi misti, tratti da alcuni autori tra cui Luigi Pirandello e Wislawa Szymborska.
Lo spunto di riflessione fornito dal regista Marco Pernich attraverso questa rielaborazione dell’Amleto riguarda innanzitutto il possibile fallimento del teatro nell’epoca contemporanea. Insieme allo stesso strumento del teatro sembra oggi aver fallito anche la rappresentazione del personaggio e la sua identificazione, ipotizzata da Stanislavskij. La conclusione alla quale sembra giungere lo spettacolo è che i personaggi non possano essere interpretati ma soltanto raccontati. Attraverso questa apparente rassegnazione in realtà si sviluppa una sorta di rivendicazione dell’umanità dell’attore, della sua mutevolezza, sera dopo sera, alla sua incapacità di rimanere sempre uguale a se stesso. Il fallimento del teatro dunque si risolve alla fine come una celebrazione della sua bellezza e della sua grandezza, che derivano proprio dall’umanità dell’attore. Si dimostra così l’insolvenza della figura della Supermarionetta ipotizzata da Craig verso la metà del secolo scorso, secondo cui l’attore in quanto essere umano era di intralcio al movimento da compiere sul
palcoscenico.
Oltre alla riflessione intrinseca al Circo dei Morti il regista ha voluto lanciare un altro importante messaggio contro la mercificazione dell’arte, cercando in qualche modo di sottrarre lo spettacolo all’idea di prodotto e consumo. Non è infatti presente un biglietto a pagamento per accedere alla visione della rappresentazione ma si chiede al pubblico di portare un dono, così da istituire una sorta di baratto culturale: un dono in cambio del teatro. Sicuramente un gesto rivoluzionario, che unito alla carica riflessiva dell’intera messa in scena rende lo spettacolo un’esortazione a rivalutare tutto ciò che si è sempre creduto del teatro.

Trilogia della Gazza

Ride la gazza nera sugli aranci, La morte rossa e Il canto bianco degli olivi

 

Prendete sette ragazzi. Giovani, belli, bohèmien e svergognati.

Metteteli in un corso di teatro e dategli delle parti: fategli rappresentare una compagnia di attori scalcagnati che viene chiamata da una misteriosa nobildonna a rappresentare tutta la vicenda di Edipo.

Il risultato? Una miscela esilarante e esplosiva.

La Trilogia della gazza, composta degli spettacoli Ride la gazza nera sugli aranci, La morte rossa e Il canto bianco degli olivi è il risultato finale degli allievi dell’ultimo anno della scuola di teatro di Studionovecento. Doveva essere un semplice spettacolo di diploma, ma quando i ragazzi e il regista Marco M. Pernich hanno cominciato a lavorare sul primo spettacolo è nata subito un’alchimia travolgente: Ride la gazza nera sugli aranci  infatti è stato giudicato il miglior spettacolo del Festival di Grenoble del 2017.

L’anno dopo si è deciso allora di mettere in prova anche La morte rossa e Il canto bianco degli olivi. Pure quest’ultimo, portato a Grenoble nel 2018, ha conquistato il pubblico internazionale, ribadendo così la riuscita del prodotto.

Quante volte la vita ci mette di fronte a sfide rispetto alle quali siamo assolutamente impreparati o ci chiama a compiti troppo grandi per noi?

I protagonisti di questa compagnia di giro sono convocati a palazzo per rappresentare, all’improvvisa e nella loro “estetica” di strada, la tragedia per eccellenza: la storia di Edipo. In tre spettacoli ripercorrono l’adolescenza, l’età adulta e infine la vecchiaia del re tebano. Ma in questa cavalcata i guitti della compagnia, tra liti, bisticci e disastri rocamboleschi, impareranno che forse sì, un destino esiste.

Ma di questo destino loro non sono le marionette, ma sono, nel bene e nel male, gli autori.

La Trilogia della Gazza

Prendete sette ragazzi. Giovani, belli, bohèmien e svergognati.

Metteteli in un corso di teatro e dategli delle parti: fategli rappresentare una compagnia di attori scalcagnati che viene chiamata da una misteriosa nobildonna a rappresentare tutta la vicenda di Edipo.

Il risultato? Una miscela esilarante e esplosiva.

La Trilogia della gazza, composta degli spettacoli Ride la gazza nera sugli aranci, La morte rossa e Il canto bianco degli olivi è il risultato finale degli allievi dell’ultimo anno della scuola di teatro di Studionovecento. Doveva essere un semplice spettacolo di diploma, ma quando i ragazzi e il regista Marco M. Pernich hanno cominciato a lavorare sul primo spettacolo è nata subito un’alchimia travolgente: Ride la gazza nera sugli aranci  infatti è stato giudicato il miglior spettacolo del Festival di Grenoble del 2017.

L’anno dopo si è deciso allora di mettere in prova anche La morte rossa e Il canto bianco degli olivi. Pure quest’ultimo, portato a Grenoble nel 2018, ha conquistato il pubblico internazionale, ribadendo così la riuscita del prodotto.

Quante volte la vita ci mette di fronte a sfide rispetto alle quali siamo assolutamente impreparati o ci chiama a compiti troppo grandi per noi?

I protagonisti di questa compagnia di giro sono convocati a palazzo per rappresentare, all’improvvisa e nella loro “estetica” di strada, la tragedia per eccellenza: la storia di Edipo. In tre spettacoli ripercorrono l’adolescenza, l’età adulta e infine la vecchiaia del re tebano. Ma in questa cavalcata i guitti della compagnia, tra liti, bisticci e disastri rocamboleschi, impareranno che forse sì, un destino esiste.

Ma di questo destino loro non sono le marionette, ma sono, nel bene e nel male, gli autori.