Genesi

un'ermeneutica teatrale dei capitoli 1,11 del Libro della Genesi

 

Perché avventurarsi oggi tempo di pensiero debole di materialismi di economia rampante di miti del pratico e dell’immediato di ricerca di soddisfazione immediata del desiderio a esplorare l’inizio di uno dei testi fondativi dell’Umanità e a porre di nuovo le eterne domande senza risposta che per tanto tempo nella cosiddetta modernità è stato detto inutile porsi? 


O più semplicemente perché con tutti i problemi che ci sono alzare di nuovo gli occhi al cielo e chiedere i perché assoluti?


Forse proprio perché viviamo il tempo sciagurato e difficile che viviamo.


[ Marco M. Pernich ]

 

Genesi è uno spettacolo coraggioso.
Il più coraggioso di tutti.

Genesi è uno spettacolo spudorato.
Il più spudorato di tutti.

Genesi è lo spettacolo più coraggioso perché è lo spettacolo che non ha paura di risalire all’inizio, tagliare corto con tutte le mezze risposte e porre le domande fondamentali. Genesi è lo spettacolo più spudorato perché non si vergogna di parlare di Dio, di Uomo e di Sacro in un mondo materialista e bigotto.

Attraverso la voce di cinque personaggi, incarnati da un’unica attrice, prendono corpo i fantasmi dell’inizio: il male, il bene e l’essere umano buttato in un mondo meravigliosamente vasto. Il primo angelo, l’Antagonista, Caino e la moglie di Noah, hanno i nostri volti e sono senza volto come i nostri sentimenti inconsci. Danzano e parlano, ma la loro voce è come un canto, mentre la musica de l’ Histoire du soldat di Stravinsky accompagna tutto lo spettacolo.

Un testo difficile per uno spettacolo difficile. Ma un testo necessario. Come se tacere queste storie mormorate fin dall’inizio dei tempi, equivalesse a venir meno a un compito antichissimo.

Genesi

Perché avventurarsi oggi tempo di pensiero debole di materialismi di economia rampante di miti del pratico e dell’immediato di ricerca di soddisfazione immediata del desiderio a esplorare l’inizio di uno dei testi fondativi dell’Umanità e a porre di nuovo le eterne domande senza risposta che per tanto tempo nella cosiddetta modernità è stato detto inutile porsi? 
O più semplicemente perché con tutti i problemi che ci sono alzare di nuovo gli occhi al cielo e chiedere i perché assoluti?


Forse proprio perché viviamo il tempo sciagurato e difficile che viviamo.


[ Marco M. Pernich ]

 

Genesi è uno spettacolo coraggioso.
Il più coraggioso di tutti.

Genesi è uno spettacolo spudorato.
Il più spudorato di tutti.

Genesi è lo spettacolo più coraggioso perché è lo spettacolo che non ha paura di risalire all’inizio, tagliare corto con tutte le mezze risposte e porre le domande fondamentali. Genesi è lo spettacolo più spudorato perché non si vergogna di parlare di Dio, di Uomo e di Sacro in un mondo materialista e bigotto.

Attraverso la voce di cinque personaggi, incarnati da un’unica attrice, prendono corpo i fantasmi dell’inizio: il male, il bene e l’essere umano buttato in un mondo meravigliosamente vasto. Il primo angelo, l’Antagonista, Caino e la moglie di Noah, hanno i nostri volti e sono senza volto come i nostri sentimenti inconsci. Danzano e parlano, ma la loro voce è come un canto, mentre la musica de l’ Histoire du soldat di Stravinsky accompagna tutto lo spettacolo.

Un testo difficile per uno spettacolo difficile. Ma un testo necessario. Come se tacere queste storie mormorate fin dall’inizio dei tempi, equivalesse a venir meno a un compito antichissimo.

Gli Scavalcamontagne

 

Una piazza: signori col cappello e baffoni, donne col ventaglio e gonne lunghe e bimbi che mangiano lo zucchero filato. Tutti sono riuniti intorno a un palco, e sopra il palco c’è una donna, ben vestita. A un certo punto si tocca la fronte, tutti trattengono il respiro e poi sviene sopraffatta dall’emozione.

Quella donna è un’attrice, quelli intorno sono gli abitanti del paese e quella piazza, con la gente, l’attrice e la festa tutt’intorno, sono la storia d’Italia.

Scavalcamontagne è il nome che si dava a queste antiche compagnie di giro, che su vetture di terza classe superavano i valichi della penisola in cerca di un palco su cui recitare. Assistere a Gli Scavalcamontagne vuol dire rivivere tutta, ma proprio tutta la storia del nostro paese.

Gli Scavalcamontagne sono una compagnia che ha vissuto tutte le guerre, le contestazioni e le sconfitte, ha sofferto la fame e ha goduto il vino, si è amata, si è ammazzata e si è perdonata… sono una compagnia che alla fine ha capito che la storia d’Italia è quella di fratelli che non si son riconosciuti, ma che non si sono mai arresi all’odio e all’intolleranza. Proseguendo fino al prossimo palco, la prossima piazza e la prossima festa.

Gli Scavalcamontagne è un grande spettacolo popolare, dove si canta e si balla, si beve e si mangia; una piazza in cui tutti, attori e pubblico, stanno insieme e costruiscono il futuro

Gli Scavalcamontagne

Una piazza: signori col cappello e baffoni, donne col ventaglio e gonne lunghe e bimbi che mangiano lo zucchero filato. Tutti sono riuniti intorno a un palco, e sopra il palco c’è una donna, ben vestita. A un certo punto si tocca la fronte, tutti trattengono il respiro e poi sviene sopraffatta dall’emozione.

Quella donna è un’attrice, quelli intorno sono gli abitanti del paese e quella piazza, con la gente, l’attrice e la festa tutt’intorno, sono la storia d’Italia.

Scavalcamontagne è il nome che si dava a queste antiche compagnie di giro, che su vetture di terza classe superavano i valichi della penisola in cerca di un palco su cui recitare. Assistere a Gli Scavalcamontagne vuol dire rivivere tutta, ma proprio tutta la storia del nostro paese.

Gli Scavalcamontagne sono una compagnia che ha vissuto tutte le guerre, le contestazioni e le sconfitte, ha sofferto la fame e ha goduto il vino, si è amata, si è ammazzata e si è perdonata… sono una compagnia che alla fine ha capito che la storia d’Italia è quella di fratelli che non si son riconosciuti, ma che non si sono mai arresi all’odio e all’intolleranza. Proseguendo fino al prossimo palco, la prossima piazza e la prossima festa.

Gli Scavalcamontagne è un grande spettacolo popolare, dove si canta e si balla, si beve e si mangia; una piazza in cui tutti, attori e pubblico, stanno insieme e costruiscono il futuro

Trilogia della Gazza

Ride la gazza nera sugli aranci, La morte rossa e Il canto bianco degli olivi

 

Prendete sette ragazzi. Giovani, belli, bohèmien e svergognati.

Metteteli in un corso di teatro e dategli delle parti: fategli rappresentare una compagnia di attori scalcagnati che viene chiamata da una misteriosa nobildonna a rappresentare tutta la vicenda di Edipo.

Il risultato? Una miscela esilarante e esplosiva.

La Trilogia della gazza, composta degli spettacoli Ride la gazza nera sugli aranci, La morte rossa e Il canto bianco degli olivi è il risultato finale degli allievi dell’ultimo anno della scuola di teatro di Studionovecento. Doveva essere un semplice spettacolo di diploma, ma quando i ragazzi e il regista Marco M. Pernich hanno cominciato a lavorare sul primo spettacolo è nata subito un’alchimia travolgente: Ride la gazza nera sugli aranci  infatti è stato giudicato il miglior spettacolo del Festival di Grenoble del 2017.

L’anno dopo si è deciso allora di mettere in prova anche La morte rossa e Il canto bianco degli olivi. Pure quest’ultimo, portato a Grenoble nel 2018, ha conquistato il pubblico internazionale, ribadendo così la riuscita del prodotto.

Quante volte la vita ci mette di fronte a sfide rispetto alle quali siamo assolutamente impreparati o ci chiama a compiti troppo grandi per noi?

I protagonisti di questa compagnia di giro sono convocati a palazzo per rappresentare, all’improvvisa e nella loro “estetica” di strada, la tragedia per eccellenza: la storia di Edipo. In tre spettacoli ripercorrono l’adolescenza, l’età adulta e infine la vecchiaia del re tebano. Ma in questa cavalcata i guitti della compagnia, tra liti, bisticci e disastri rocamboleschi, impareranno che forse sì, un destino esiste.

Ma di questo destino loro non sono le marionette, ma sono, nel bene e nel male, gli autori.

La Trilogia della Gazza

Prendete sette ragazzi. Giovani, belli, bohèmien e svergognati.

Metteteli in un corso di teatro e dategli delle parti: fategli rappresentare una compagnia di attori scalcagnati che viene chiamata da una misteriosa nobildonna a rappresentare tutta la vicenda di Edipo.

Il risultato? Una miscela esilarante e esplosiva.

La Trilogia della gazza, composta degli spettacoli Ride la gazza nera sugli aranci, La morte rossa e Il canto bianco degli olivi è il risultato finale degli allievi dell’ultimo anno della scuola di teatro di Studionovecento. Doveva essere un semplice spettacolo di diploma, ma quando i ragazzi e il regista Marco M. Pernich hanno cominciato a lavorare sul primo spettacolo è nata subito un’alchimia travolgente: Ride la gazza nera sugli aranci  infatti è stato giudicato il miglior spettacolo del Festival di Grenoble del 2017.

L’anno dopo si è deciso allora di mettere in prova anche La morte rossa e Il canto bianco degli olivi. Pure quest’ultimo, portato a Grenoble nel 2018, ha conquistato il pubblico internazionale, ribadendo così la riuscita del prodotto.

Quante volte la vita ci mette di fronte a sfide rispetto alle quali siamo assolutamente impreparati o ci chiama a compiti troppo grandi per noi?

I protagonisti di questa compagnia di giro sono convocati a palazzo per rappresentare, all’improvvisa e nella loro “estetica” di strada, la tragedia per eccellenza: la storia di Edipo. In tre spettacoli ripercorrono l’adolescenza, l’età adulta e infine la vecchiaia del re tebano. Ma in questa cavalcata i guitti della compagnia, tra liti, bisticci e disastri rocamboleschi, impareranno che forse sì, un destino esiste.

Ma di questo destino loro non sono le marionette, ma sono, nel bene e nel male, gli autori.

Storia del Piccione W.A.

E della notte che rimase chiuso nel museo

 

C ‘era una volta un piccione, W.A., che amava infilarsi dalle porte o dalle finestre aperte nel Museo di Arte Moderna di New York. Si divertiva a volare per le stanze facendo impazzire i custodi che lo inseguivano per tutte le sale e i corridoi terrorizzati all’idea che potesse imbrattare qualche opera! Ma come potevano pensarlo! Lui non si sarebbe mai permesso! Era un piccione educato, lui! Ma una notte, forse per distrazione forse per malvagità dei custodi, il piccione W.A. rimase chiuso nel museo…

Qui inizia il viaggio del piccione W.A., alla scoperta dell’arte contemporanea e in particolare delle opere di Andy Warhol. Un’insolita amica, una gentile lattina di zuppa Campbell’s, prima lo consola e poi gli racconta la storia di un ragazzo speciale con un talento magico. Gli presenta le sue opere e di ciascuna racconta qualcosa e qualcuna prende anche vita come… Marylin!
La Signorina Campbell racconta anche episodi della vita di ‘Andy’ – come lo chiama lei – e alla fine aiuta il Piccione a sfuggire ai custodi e a involarsi per i cieli grigi di New York.

Storia del Piccione W.A.

C ‘era una volta un piccione, W.A., che amava infilarsi dalle porte o dalle finestre aperte nel Museo di Arte Moderna di New York. Si divertiva a volare per le stanze facendo impazzire i custodi che lo inseguivano per tutte le sale e i corridoi terrorizzati all’idea che potesse imbrattare qualche opera! Ma come potevano pensarlo! Lui non si sarebbe mai permesso! Era un piccione educato, lui! Ma una notte, forse per distrazione forse per malvagità dei custodi, il piccione W.A. rimase chiuso nel museo…

Qui inizia il viaggio del piccione W.A., alla scoperta dell’arte contemporanea e in particolare delle opere di Andy Warhol. Un’insolita amica, una gentile lattina di zuppa Campbell’s, prima lo consola e poi gli racconta la storia di un ragazzo speciale con un talento magico. Gli presenta le sue opere e di ciascuna racconta qualcosa e qualcuna prende anche vita come… Marylin!
La Signorina Campbell racconta anche episodi della vita di ‘Andy’ – come lo chiama lei – e alla fine aiuta il Piccione a sfuggire ai custodi e a involarsi per i cieli grigi di New York.

Lo sguardo di Polifemo

Due personaggi che si rifanno alla mitologia, Polifemo e Sirena, sono immersi nella contemporaneità, il canto ammaliatore dell’una e lo sguardo senza profondità dell’altro assumono nuovi significati nella realtà di oggi. Lui non vede, lei non parla più, i loro limiti nel comunicare sembrano superati grazie agli ausili tecnologici, ma non tutto trova una risposta nella tecnologia e la nostra riflessione si sposta verso il gesto, lo sguardo, la voce e la relazione, la loro presenza o mancanza. Questi elementi costitutivi del fare teatro vanno a comporre una drammaturgia d’attore che entra a far parte, come in un tessuto, della drammaturgia dello spettacolo muovendosi tra registri e strategie diverse. Vengono accolti nell’azione elementi e modalità derivate dalla realtà da rappresentare. Saranno l’umanità, la storia personale, la memoria e il dialogo a prendere la scena.

Lo sguardo di Polifemo

Due personaggi che si rifanno alla mitologia, Polifemo e Sirena, sono immersi nella contemporaneità, il canto ammaliatore dell’una e lo sguardo senza profondità dell’altro assumono nuovi significati nella realtà di oggi. Lui non vede, lei non parla più, i loro limiti nel comunicare sembrano superati grazie agli ausili tecnologici, ma non tutto trova una risposta nella tecnologia e la nostra riflessione si sposta verso il gesto, lo sguardo, la voce e la relazione, la loro presenza o mancanza. Questi elementi costitutivi del fare teatro vanno a comporre una drammaturgia d’attore che entra a far parte, come in un tessuto, della drammaturgia dello spettacolo muovendosi tra registri e strategie diverse. Vengono accolti nell’azione elementi e modalità derivate dalla realtà da rappresentare. Saranno l’umanità, la storia personale, la memoria e il dialogo a prendere la scena.

Dio ha bisogno degli uomini

Un’isola al largo delle coste della Bretagna un po’ a sud del canale della Manica. Tutto intorno l’Oceano.
Un’isola di capre, sassi, gabbiani, scogli e orti stenti. Non ci sono guardie, non c’è un medico, non c’è nemmeno un sindaco.

Un’isola di pescatori.
Un’isola di pirati.
Perché la pesca da sola non basta a sfamare i pochi uomini che ancora vivono sull’isola.
Un’isola dimenticata da Dio o, per lo meno, dalla Chiesa.
Ma quando il curato esasperato decide di andarsene, uomini che non hanno mai creduto in niente si ritrovano di colpo a scoprire una nuova spiritualità e la necessità di un Dio che fino a quel momento era stato solo un peso.

Dio ha bisogno degli uomini

Un’isola al largo delle coste della Bretagna un po’ a sud del canale della Manica. Tutto intorno l’Oceano.
Un’isola di capre, sassi, gabbiani, scogli e orti stenti. Non ci sono guardie, non c’è un medico, non c’è nemmeno un sindaco.

Un’isola di pescatori.
Un’isola di pirati.
Perché la pesca da sola non basta a sfamare i pochi uomini che ancora vivono sull’isola.
Un’isola dimenticata da Dio o, per lo meno, dalla Chiesa.
Ma quando il curato esasperato decide di andarsene, uomini che non hanno mai creduto in niente si ritrovano di colpo a scoprire una nuova spiritualità e la necessità di un Dio che fino a quel momento era stato solo un peso.